Questo volume raccoglie i due libri autobiografici in cui Peter Weiss dà conto della tormentata educazione artistica e sentimentale che lo ha visto affermarsi come scrittore, e come interprete sensibile dell'inquietudine contemporanea alle prese - dopo il trauma del nazismo e della guerra - con nuovi dilemmi, con realtà non meno drammatiche. Estraniato dall'ambiente naturale, sia perché come ebreo aveva dovuto emigrare dopo il 1933, sia perché aveva rotto con la famiglia borghese, dopo un lungo travaglio Weiss ha trovato nella propria lingua le sue uniche radici, la sua unica patria. Congedo dai genitori racconta le prime tappe dell'itinerario di un uomo che nella rivolta e attraverso la rivolta stabilisce la propria vocazione di artista e di scrittore. Una storia tanto vecchia da sembrare scontata, se in Weiss essa non fosse per l'appunto del tutto nuova. Non solo nella tecnica, nel modo in cui la memoria sgorga propotente e incessante, a partire dall'evocazione della morte del padre e della dissoluzione definitiva della famiglia, depositandosi in periodi brevi e intensi che occupano tutta la scena prima di essere travolti dall'impeto della corrente; ma nuova anche nel mondo evocato, che è quello di un'infanzia e di un'adolescenza prese nella gravità delle cose, incapaci di superarla razionalmente e tese o a evadere nella fantasia o a tentare di affermarsi sulla vita reale, in una serie di brusche impennate e ricadute. Qui si innesta il secondo capitolo dell'autobiografia, Punto di fuga. L'indipendenza dalla famiglia non è che una prima tappa sulla via della ricerca del proprio io. A Stoccolma ritroviamo Weiss ancora incerto tra diverse e contraddittorie sollecitazioni. Lo sperimentalismo della sua pittura è solo un'espressione dell'irrequietezza che lo travaglia. Vani sono i tentativi di legarsi a una donna, e attraverso di essa ala paese che lo ospita; vano il pensiero della tragedia del popolo ebraico, della fine atroce degli amici di un tempo, poiché tutto questo gli rimane astratto di fronte ai problemi della sua eistenza individuale, ed è inutile che l'amico Hoderer lo esorti a uscire dall'egoismo. Solo alla fine il cammino approda a un punto di fuga che è anche il punto di partenza: quello appunto della lingua, autentica ragion d'essere. È la fine dell'autobiografia e insieme la nascita dello scrittore Peter Weiss, che in quanto tale riuscirà non solo a chiarire il proprio passato, ma a ricongiungersi a quei problemi generali che aveva allora volutamente messo da parte e a diventare una delle voci più vive della coscienza europea proprio in un momento di declino dell'impegno politico degli scrittori.
Questo volume raccoglie i due libri autobiografici in cui Peter Weiss dà conto della tormentata educazione artistica e sentimentale che lo ha visto affermarsi come scrittore, e come interprete sensibile dell'inquietudine contemporanea alle prese - dopo il trauma del nazismo e della guerra - con nuovi dilemmi, con realtà non meno drammatiche. Estraniato dall'ambiente naturale, sia perché come ebreo aveva dovuto emigrare dopo il 1933, sia perché aveva rotto con la famiglia borghese, dopo un lungo travaglio Weiss ha trovato nella propria lingua le sue uniche radici, la sua unica patria. Congedo dai genitori racconta le prime tappe dell'itinerario di un uomo che nella rivolta e attraverso la rivolta stabilisce la propria vocazione di artista e di scrittore. Una storia tanto vecchia da sembrare scontata, se in Weiss essa non fosse per l'appunto del tutto nuova. Non solo nella tecnica, nel modo in cui la memoria sgorga propotente e incessante, a partire dall'evocazione della morte del padre e della dissoluzione definitiva della famiglia, depositandosi in periodi brevi e intensi che occupano tutta la scena prima di essere travolti dall'impeto della corrente; ma nuova anche nel mondo evocato, che è quello di un'infanzia e di un'adolescenza prese nella gravità delle cose, incapaci di superarla razionalmente e tese o a evadere nella fantasia o a tentare di affermarsi sulla vita reale, in una serie di brusche impennate e ricadute. Qui si innesta il secondo capitolo dell'autobiografia, Punto di fuga. L'indipendenza dalla famiglia non è che una prima tappa sulla via della ricerca del proprio io. A Stoccolma ritroviamo Weiss ancora incerto tra diverse e contraddittorie sollecitazioni. Lo sperimentalismo della sua pittura è solo un'espressione dell'irrequietezza che lo travaglia. Vani sono i tentativi di legarsi a una donna, e attraverso di essa ala paese che lo ospita; vano il pensiero della tragedia del popolo ebraico, della fine atroce degli amici di un tempo, poiché tutto questo gli rimane astratto di fronte ai problemi della sua eistenza individuale, ed è inutile che l'amico Hoderer lo esorti a uscire dall'egoismo. Solo alla fine il cammino approda a un punto di fuga che è anche il punto di partenza: quello appunto della lingua, autentica ragion d'essere. È la fine dell'autobiografia e insieme la nascita dello scrittore Peter Weiss, che in quanto tale riuscirà non solo a chiarire il proprio passato, ma a ricongiungersi a quei problemi generali che aveva allora volutamente messo da parte e a diventare una delle voci più vive della coscienza europea proprio in un momento di declino dell'impegno politico degli scrittori.