Questo libro è «la prima e unica autobiografia religiosa che il mondo pagano ci ha lasciato» , ma anche in certo modo il primo caso clinico che conosciamo, documentato dal paziente stesso. Tutta la vita di Elio Aristide ruota infatti intorno a un male psichico, mutevole e insidioso. E al tempo stesso intorno alla divinità che salva dal male: Asclepio. Nel santuario del dio, a Pergamo, si compiva il rito dell’incubazione: il paziente andava in quel luogo a sognare, e l’intervento guaritore del dio avveniva appunto nel sogno. Si creava così una sacra intimità fra il paziente e Asclepio. Da essa è dominata tutta la vita di Aristide: questo abile e fecondo retore, sempre oscillante fra la minuziosa ossessività nevrotica e la maestà sciamanica, ha scelto, per raccontare la storia della sua anima, una forma tortuosa, in un perpetuo intreccio fra sogni risanatori ed eventi perturbanti: intreccio di cui è superfluo sottolineare la sconcertante modernità. E un’altra sensazione ci colpisce subito in questo testo: mai avevamo avuto l’impressione di calarci così profondamente nella vita quotidiana di uno scrittore dell’antichità classica. A lungo trascurati per la loro eccessiva stranezza, questi Discorsi sacri, che risalgono al secondo secolo dopo Cristo, epoca della suprema fioritura dell’Asclepieo di Pergamo, vengono oggi riscoperti e rivendicati quale «documento unico, e uno dei più notevoli del mondo antico» .
Questo libro è «la prima e unica autobiografia religiosa che il mondo pagano ci ha lasciato» , ma anche in certo modo il primo caso clinico che conosciamo, documentato dal paziente stesso. Tutta la vita di Elio Aristide ruota infatti intorno a un male psichico, mutevole e insidioso. E al tempo stesso intorno alla divinità che salva dal male: Asclepio. Nel santuario del dio, a Pergamo, si compiva il rito dell’incubazione: il paziente andava in quel luogo a sognare, e l’intervento guaritore del dio avveniva appunto nel sogno. Si creava così una sacra intimità fra il paziente e Asclepio. Da essa è dominata tutta la vita di Aristide: questo abile e fecondo retore, sempre oscillante fra la minuziosa ossessività nevrotica e la maestà sciamanica, ha scelto, per raccontare la storia della sua anima, una forma tortuosa, in un perpetuo intreccio fra sogni risanatori ed eventi perturbanti: intreccio di cui è superfluo sottolineare la sconcertante modernità. E un’altra sensazione ci colpisce subito in questo testo: mai avevamo avuto l’impressione di calarci così profondamente nella vita quotidiana di uno scrittore dell’antichità classica. A lungo trascurati per la loro eccessiva stranezza, questi Discorsi sacri, che risalgono al secondo secolo dopo Cristo, epoca della suprema fioritura dell’Asclepieo di Pergamo, vengono oggi riscoperti e rivendicati quale «documento unico, e uno dei più notevoli del mondo antico» .