"Il gotico mediterraneo esprime un passaggio di poteri: la 'civiltà' che vede spostare il suo centro da Sud a Nord, da un'antichità fondante a un mondo avanzato e industriale". Questa, in estrema sintesi, l'essenza di un "sottogenere" o di un "gusto" non solo letterario, ma anche musicale, figurativo e cinematografico: il gotico mediterraneo. La sua data di nascita è il 1764, anno in cui Johann Winckelmann e Horace Walpole pubblicano le loro opere più celebri, la Storia dell'arte nell'antichità e Il castello di Otranto. "Apologhi sui corpi e sui confini", i testi che Massimo Scotti sceglie per definire questo genere, gli Spiriti elementari di Heinrich Heine, La Venere d'Ille di Prosper Mérimée, Arria Marcella di Téophile Gautier, L'ultimo dei Valerii di Henry James e Dionea di Vernon Lee, pubblicati tra il 1837 e il 1890, sono centrati attorno al fortunato mito di Pigmalione e della sua statua Galatea. In questa presenza ossessiva Scotti legge il sintomo di un trauma antico, che torna a farsi sentire solo dopo l'Illuminismo: la rimozione cristiana del paganesimo e delle sue divinità femminili. Il ritrovamento e il disseppellimento di un idolo, esordio della Venere d'Ille di Mérimée ed episodio centrale di quasi tutti i testi analizzati, corrisponde quindi a una freudiana "emersione del rimosso"; i viaggiatori del nord Europa, "discendenti dei barbari", trovano nei loro viaggi mediterranei un paesaggio non menzionato dai Baedeker: una "mitologia modificata dal passaggio del cristianesimo e le tradizioni locali" che si rianima nelle sembianze spaventose e affascinanti di Veneri e Giunoni vendicatrici, di statue che si rianimano per uccidere. Il motivo pigmalionico è scelto a campione da Scotti, in questo pregevole e curatissimo saggio, perché porta in sé tutti i caratteri del gotico mediterraneo: la femminilità perturbante, la corporeità, la repressione e la sostituzione degli antichi culti operata dal cattolicesimo, di cui resta traccia nei ruderi o nelle chiese italiane. Esso è però solo la spia di una più ampia nostalgia delle origini che anima i romantici e decadenti "turisti" dell'Ottocento; nel desiderio di un impossibile ritorno all'età dell'oro, utopia di un mondo libero dalle restrizioni della morale cattolica, James vede riflessa la condizione del personaggio letterario alle soglie del modernismo: Marco Valerio, protagonista del suo racconto, non riconoscendosi "nel ruolo che gli concede la fiction a lui contemporanea" si ostina a credersi "ultimo dei Valerii" e al tempo stesso attuale, classico e moderno. Stefano Moretti
"Il gotico mediterraneo esprime un passaggio di poteri: la 'civiltà' che vede spostare il suo centro da Sud a Nord, da un'antichità fondante a un mondo avanzato e industriale". Questa, in estrema sintesi, l'essenza di un "sottogenere" o di un "gusto" non solo letterario, ma anche musicale, figurativo e cinematografico: il gotico mediterraneo. La sua data di nascita è il 1764, anno in cui Johann Winckelmann e Horace Walpole pubblicano le loro opere più celebri, la Storia dell'arte nell'antichità e Il castello di Otranto. "Apologhi sui corpi e sui confini", i testi che Massimo Scotti sceglie per definire questo genere, gli Spiriti elementari di Heinrich Heine, La Venere d'Ille di Prosper Mérimée, Arria Marcella di Téophile Gautier, L'ultimo dei Valerii di Henry James e Dionea di Vernon Lee, pubblicati tra il 1837 e il 1890, sono centrati attorno al fortunato mito di Pigmalione e della sua statua Galatea. In questa presenza ossessiva Scotti legge il sintomo di un trauma antico, che torna a farsi sentire solo dopo l'Illuminismo: la rimozione cristiana del paganesimo e delle sue divinità femminili. Il ritrovamento e il disseppellimento di un idolo, esordio della Venere d'Ille di Mérimée ed episodio centrale di quasi tutti i testi analizzati, corrisponde quindi a una freudiana "emersione del rimosso"; i viaggiatori del nord Europa, "discendenti dei barbari", trovano nei loro viaggi mediterranei un paesaggio non menzionato dai Baedeker: una "mitologia modificata dal passaggio del cristianesimo e le tradizioni locali" che si rianima nelle sembianze spaventose e affascinanti di Veneri e Giunoni vendicatrici, di statue che si rianimano per uccidere. Il motivo pigmalionico è scelto a campione da Scotti, in questo pregevole e curatissimo saggio, perché porta in sé tutti i caratteri del gotico mediterraneo: la femminilità perturbante, la corporeità, la repressione e la sostituzione degli antichi culti operata dal cattolicesimo, di cui resta traccia nei ruderi o nelle chiese italiane. Esso è però solo la spia di una più ampia nostalgia delle origini che anima i romantici e decadenti "turisti" dell'Ottocento; nel desiderio di un impossibile ritorno all'età dell'oro, utopia di un mondo libero dalle restrizioni della morale cattolica, James vede riflessa la condizione del personaggio letterario alle soglie del modernismo: Marco Valerio, protagonista del suo racconto, non riconoscendosi "nel ruolo che gli concede la fiction a lui contemporanea" si ostina a credersi "ultimo dei Valerii" e al tempo stesso attuale, classico e moderno. Stefano Moretti