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Assistenza alla donna vittima di violenza: Il ruolo dell'infermiere forense

Assistenza alla donna vittima di violenza: Il ruolo dell'infermiere forense

Simonetta Vernocchi
5/5 ( ratings)
La violenza contro le donne diventa allarme sociale in occasione di eventi eclatanti, come la violenza sessuale da parte di sconosciuti, soprattutto se extracomunitari singoli o in gruppo, e la violenza domestica quando esita nella morte della vittima. Anche la violenza contro i bambini diventa visibile nei casi di indagini su gruppi di pedofili o di infanticidio, scandalizza anche la scoperta di siti internet dedicati alla pedo-pornografia, ancor più se legata ad atti di sadismo contro i minori. Le campagne di stampa ed i media svegliano allora le coscienze, almeno per un breve periodo, creando un clima di straordinarietà rispetto al fenomeno, illustrando con dovizia di particolari i risvolti più truci degli episodi di cronaca. In seguito si assiste ad un progressivo spegnersi dell’attenzione ed apparentemente ritorna la quiete, la rassicurante ignoranza. La violenza, che tutti giustamente condannano come un crimine odioso, torna subdolamente invisibile, specie quella quotidiana che avviene nell’ambito della sfera privata contro donne e minori, ancora privi di un reale riconoscimento dei diritti e delle pari opportunità.
L’idea stereotipa di violenza, comune tra gli operatori socio-sanitari, è che sia un grave reato, ma relativamente poco frequente. Anche per questo si tende a non riconoscerla come un problema, alla stregua delle malattie troppo rare. Purtroppo i dati sulla diffusione della violenza sia da parte di persone conosciute dalle vittime, dimostrano il contrario. La prevalenza della violenza nella nostra società è elevata, molto più di quanto riusciamo ad ammettere. E non si limita a colpire persone di livello socio-culturale basso, non è necessariamente connessa a comportamenti devianti, non è determinato dall’etilismo o dalla tossicodipendenza, che al massimo possono essere i momentanei fattori scatenanti. E’ invece diffusa trasversalmente tra tutti gli strati sociali e sfugge a rigide categorizzazioni. Dobbiamo quindi iniziare a distruggere questa serie di stereotipi, che manterrebbero invariato il fenomeno, perpetuando la cecità e sordità che finora ha impedito di aiutare le vittime. Altrettanto va fatto sul fronte della violenza sessuale: il NO di una donna ad un atto sessuale, in qualunque momento o circostanza sia dato, deve acquistare nella coscienza di tutti la dignità di limite invalicabile oltrepassando il quale inizia la violenza. Non dovrebbe più nemmeno essere legittimato il pensiero che “in fondo le donne desiderano essere violentate”, che se la sono cercata, che sono state facili prede per i loro comportamenti sbagliati.
Concentrare l’attenzione sul colpevole e non sulla vittima è fondamentale, se si vuole che le donne escano dal silenzio con cui hanno scelto di celare i soprusi subiti. A volte è l’inizio di una gravidanza l’occasione scatenante del manifestarsi di un conflitto, della rottura di un precario equilibrio e dal quel momento le violenze psicologiche o fisiche possono entrare a far parte del nuovo lessico familiare della coppia. Il ricatto economico, il bisogno di condividere delle responsabilità parentali, la difficoltà di modificare le proprie abitudini di vita per adattarsi all’impegno del ruolo materno, il senso di inadeguatezza e di progressiva insicurezza, la vergogna per il fallimento della coppia, la paura della solitudine e, a volte, ancora un residuo sentimento d’amore, impediscono alla donna di rendere pubbliche le violenze. All’inizio subisce nella speranza che ogni volta sia l’ultima che il suo partner la picchierà o l’insulterà. Speranza supportata spesso dagli atteggiamenti dell’uomo, che trova giustificazioni esterne ai suoi comportamenti violenti, che li minimizza riducendoli ad un esplosione di rabbia determinata da diff
Pages
79
Format
Kindle Edition

Assistenza alla donna vittima di violenza: Il ruolo dell'infermiere forense

Simonetta Vernocchi
5/5 ( ratings)
La violenza contro le donne diventa allarme sociale in occasione di eventi eclatanti, come la violenza sessuale da parte di sconosciuti, soprattutto se extracomunitari singoli o in gruppo, e la violenza domestica quando esita nella morte della vittima. Anche la violenza contro i bambini diventa visibile nei casi di indagini su gruppi di pedofili o di infanticidio, scandalizza anche la scoperta di siti internet dedicati alla pedo-pornografia, ancor più se legata ad atti di sadismo contro i minori. Le campagne di stampa ed i media svegliano allora le coscienze, almeno per un breve periodo, creando un clima di straordinarietà rispetto al fenomeno, illustrando con dovizia di particolari i risvolti più truci degli episodi di cronaca. In seguito si assiste ad un progressivo spegnersi dell’attenzione ed apparentemente ritorna la quiete, la rassicurante ignoranza. La violenza, che tutti giustamente condannano come un crimine odioso, torna subdolamente invisibile, specie quella quotidiana che avviene nell’ambito della sfera privata contro donne e minori, ancora privi di un reale riconoscimento dei diritti e delle pari opportunità.
L’idea stereotipa di violenza, comune tra gli operatori socio-sanitari, è che sia un grave reato, ma relativamente poco frequente. Anche per questo si tende a non riconoscerla come un problema, alla stregua delle malattie troppo rare. Purtroppo i dati sulla diffusione della violenza sia da parte di persone conosciute dalle vittime, dimostrano il contrario. La prevalenza della violenza nella nostra società è elevata, molto più di quanto riusciamo ad ammettere. E non si limita a colpire persone di livello socio-culturale basso, non è necessariamente connessa a comportamenti devianti, non è determinato dall’etilismo o dalla tossicodipendenza, che al massimo possono essere i momentanei fattori scatenanti. E’ invece diffusa trasversalmente tra tutti gli strati sociali e sfugge a rigide categorizzazioni. Dobbiamo quindi iniziare a distruggere questa serie di stereotipi, che manterrebbero invariato il fenomeno, perpetuando la cecità e sordità che finora ha impedito di aiutare le vittime. Altrettanto va fatto sul fronte della violenza sessuale: il NO di una donna ad un atto sessuale, in qualunque momento o circostanza sia dato, deve acquistare nella coscienza di tutti la dignità di limite invalicabile oltrepassando il quale inizia la violenza. Non dovrebbe più nemmeno essere legittimato il pensiero che “in fondo le donne desiderano essere violentate”, che se la sono cercata, che sono state facili prede per i loro comportamenti sbagliati.
Concentrare l’attenzione sul colpevole e non sulla vittima è fondamentale, se si vuole che le donne escano dal silenzio con cui hanno scelto di celare i soprusi subiti. A volte è l’inizio di una gravidanza l’occasione scatenante del manifestarsi di un conflitto, della rottura di un precario equilibrio e dal quel momento le violenze psicologiche o fisiche possono entrare a far parte del nuovo lessico familiare della coppia. Il ricatto economico, il bisogno di condividere delle responsabilità parentali, la difficoltà di modificare le proprie abitudini di vita per adattarsi all’impegno del ruolo materno, il senso di inadeguatezza e di progressiva insicurezza, la vergogna per il fallimento della coppia, la paura della solitudine e, a volte, ancora un residuo sentimento d’amore, impediscono alla donna di rendere pubbliche le violenze. All’inizio subisce nella speranza che ogni volta sia l’ultima che il suo partner la picchierà o l’insulterà. Speranza supportata spesso dagli atteggiamenti dell’uomo, che trova giustificazioni esterne ai suoi comportamenti violenti, che li minimizza riducendoli ad un esplosione di rabbia determinata da diff
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79
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Kindle Edition

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